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Racconto di un viaggio in Transiberiana, un mondo parallelo

    Categorie Russia


Un racconto del mio viaggio in treno tra Vladivostok e Ulan-Udė, sulla mitica Transiberiana: 3 giorni e 2 notti, quasi 3.500 chilometri attraverso la sconfinata Siberia.

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La vita in Transiberiana scorre lentamente. C’è chi legge, chi gioca a carte, chi ammazza il tempo sgranocchiando semi di girasole e chi dorme e basta. Per giorni. Perché quello sulla Transiberiana è un viaggio che non dura solo un paio di ore, ma giornate e nottate intere, mentre il paesaggio sullo sfondo rimane pressoché immutato per chilometri e chilometri. Questa è la Siberia.

Io e la mia compagna di viaggio siamo particolarmente incuriosite dalla signora formosa che ha la cuccetta sotto una delle nostre: un personaggio giunonico con un seno particolarmente ingombrante che suda a fare un minimo movimento e che inizialmente si dimostra diffidente nei confronti delle due straniere imbranate e maldestre e per nulla cordiale. Ma la parlata russa si sa, non aiuta. Dopo una incomprensione iniziale legata a chi dovesse detenere il controllo del tavolino -lei, senza dubbio alcuno- ci regala numerosi sorrisi che mostrano in secondo piano il suo dente d’oro, ci invita a sedersi vicino a lei e cerca di fare un po’ di conversazione con noi che però, nostro malgrado, non contraccambiamo (la nostra conoscenza di russo non va oltre spasiba -grazie- e dasvidaniya -arrivederci-, che presumibilmente pronunciamo male). Tira avanti per minuti interi a fare discorsi che palesemente non riusciamo a seguire ma, nonostante le nostre facce ebeti, continua imperterrite a esporre le sue teorie.
Ogni tot rovista in una busta di plastica piena zeppa di cibo –il suo viaggio durerà 90 ore-, apparecchia il suo tavolino e si mette a mangiare con gusto, concludendo il pasto con un wafer alla crema.
Ci fa capire che ha 71 anni.

Nella cuccetta laterale ci sono due personaggi piuttosto particolari e molto, molto silenziosi.
Sotto un signore anziano dallo sguardo di ghiaccio, sguardo non raro da trovare da queste parti ma il suo è particolarmente accattivante. Non ha cambiato espressione da quando siamo partiti: non un cenno di sorriso, non un cenno e basta. Dopo aver pranzato, si è sdraiato sulla sua cuccetta e da allora è fermo lì che osserva ciò che gli sta intorno e il paesaggio che gli scorre davanti.

Nella cuccetta sopra di lui c’è un ragazzo giovane, avrà non più di 25 anni, che giace in posizione sdraiata dal minuto uno. Ha dormito quasi tutto il tempo, poi si è svegliato e si è messo a guardare un film sul suo pc portatile, tutto questo senza mai proferire parola. Nel giro di un’intera giornata si è nutrito solo di tre barrette di cioccolato.

Credevo non avrei chiuso occhio tutta la notte e invece il continuo oscillare del treno mi ha cullato fino alle 10:30 del mattino, coprendo eventuali rumori di sottofondo -banalmente il russare delle altre 50 persone che son nel vagone con noi- che in una situazione normale non mi avrebbero permesso di dormire. Ho tirato ben oltre il mio consueto orario di sveglia, al di là di ogni più rosea aspettativa, perdendomi un’ipotetica prima alba in treno.

Al mio risveglio, l’ecosistema intorno a me è cambiato parecchio.
Tricheco, un cordiale e paffuto signore russo presentatosi al nostro cospetto la sera prima per occupare la cuccetta sotto la mia, con una canotta aderente a righe bianche e nere che gli lasciava scoperto un pezzo dell’abbondante pancia e occhiali da sole a specchio, non c’è più. Il ragazzo silenzioso nella cuccetta laterale si sta preparando a scendere e il signore dallo sguardo di ghiaccio è andato via. Al suo posto dorme di gran gusto un uomo sulla quarantina salito chissà dove. Nella notte c’è stato parecchio ricambio ed io non mi sono accorta di nulla. Anche negli scompartimenti vicini le facce non note si confondono agli habituée del treno. Le mie uniche due certezze sono Elisa e la vecchia babushka, diventata ormai nostra amica.

Cerco di capire sulla cartina dove siamo: dopo tutte queste ore di viaggio sembra che non ci siamo praticamente mossi da Khabarovsk, la località più grossa incontrata finora lungo il percorso, in cui abbiamo fatto sosta ieri sera. Quanto è dannatamente immenso questo paese! Ci stanno dentro 2 Australie e quasi 57 Italie, tanto per averne una vaga idea.

Il treno intanto continua a procedere lento verso ovest, mantiene una media di 50 km orari secondo i nostri calcoli approssimativi, mentre i passeggeri continuano a percorrere il corridoio con tazze di tè fumanti o confezioni di noodles istantanei, indubbiamente la vivanda più popolare della tratta Transiberiana.
Il paesaggio fuori dal finestrino un po’ è cambiato, ma non faccio in tempo ad accorgermene rimanendo uguale per chilometri e chilometri.

Nel frattempo il cielo si è fatto minaccioso, ma non mi preoccupa più di tanto perché prima di arrivare a destinazione ci vorrà ancora parecchio. Parecchie ore, parecchi chilometri.

La mattina del secondo giorno ci svegliamo in Siberia. Fuori dal finestrino il paesaggio è tutto verde e a perdita d’occhio. Ogni tanto il verde è interrotto da un fiume o da un gruppo di casette in legno, basse e con tetto a spiovente. Probabilmente hanno le finestre decorate, ma dal treno non si riesce a notare.

Chissà che effetto che fa in inverno, quando l’unico colore della tavolozza è il bianco della neve, che da queste parti cade molto generosamente. C’è poca presenza umana là fuori, anche in prossimità di stazioni o centri abitati. Ogni tanto si vedono gruppi di lavoratori della ferrovia con le loro divise arancione fluorescente, altrimenti il nulla cosmico. Ti rendi conto di quanto tutto questo sia incredibilmente grande solo nel momento in cui il treno curva e lo vedi passare piccolo piccolo in mezzo a tutta questa immensità.

Ad un certo punto avvistiamo due tipi in bicicletta coi portapacchi pieni di bagagli. Saranno in giro da un sacco di giorni e chissà quanti gliene mancano ancora prima di arrivare a destinazione.

Durante la notte la composizione del vagone è rimasta più o meno la stessa: vedo in giro le medesime facce di quando sono andata a dormire, soltanto un po’ più accartocciate dopo la nottata. Il tizio silenzioso vicino a noi ha già arrotolato il suo materassino per far emergere il tavolino e mangiare l’ennesima confezione di noodles istantanei, e continua ad essere particolarmente silenzioso, tanto da non augurarci nemmeno il buongiorno.

L’ubriaco caricato ieri sera in chissà quale stazione, e che a stento si reggeva in piedi, sembra aver riacquistato il dono della parola, che utilizza per cercare di persuadere la provodnitsa a vendergli dell’alcool avendo già dato fondo alle sue scorte. Lei, impassibile, lo respinge.
Ci sono tante donne che lavorano sul treno: chi si prende cura di un vagone intero con i suoi spesso curiosi passeggeri, chi presidia il vagone ristorante. Sono tutte più che in grado di tenere egregiamente testa, con professionalità ed eleganza, ai purtroppo non isolati casi di passeggeri molesti, per di più uomini e ubriachi. Ne devono passare per così sui treni.

E intanto il treno continua lentamente a macinare chilometri. Arriva così anche la nostra destinazione: Ulan-Udė, la capitale della Buriazia, e quasi a malincuore ci tocca lasciare quella che è stata la nostra casa per 3 giorni e la nostra famiglia adottiva. La babushka ci accompagna fin giù dal treno, approfittando della sosta per sgranchirsi un po’ le gambe e ci abbraccia come se fossimo davvero le sue figlie. Noi goffissime e cariche come muli, cerchiamo di contraccambiare e ci incamminiamo poi alla ricerca di un alloggio, nella fresca notte di Ulan-Udė. Sarà bellissimo rincontrarla, assolutamente per caso, 11 giorni, due fusi orari e migliaia di chilometri dopo a Krasnoyarsk, città da un milione di anime, dove a mettersi d’accordo rischi comunque di non beccarti.


A conti fatti, non si hanno troppe occasioni di annoiarsi in treno, soprattutto se si è dei foresti. Si è lontani da tutti i comfort a cui ci siamo abituati e si è costretti a pensare e a osservare quello che succede intorno a noi. Cose che al giorno d’oggi raramente facciamo ancora, ma che è bello riscoprire. E poi c’è tutta l’umanità che passa per i vagoni della Transiberiana, che rappresenta poi il culmine dell’esperienza in sé.

La Transiberiana è una sorta di mondo parallelo, dove si fanno incontri curiosi e decisamente fuori dal comune. Chissà se l’ho fatto davvero questo viaggio oppure se me lo sono solo immaginato. In questo secondo caso, è stato comunque un bel sogno. Strano, ma bello.

THE END

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