La Colonna Infame a Bari, la “gogna” cittadina

 

Colonna Infame (o della Giustizia), Bari
Un tempo a Bari i debitori insolventi, bancarottieri e falliti, venivano puniti in un modo del tutto insolito: anziché andare dritti alla gogna, come succedeva altrove, venivano legati alla Colonna della Giustizia ed “esposti al pubblico”. Non è difficile quindi capire il perché la colonna, che tuttora possiamo vedere in centro a Bari Vecchia, porti questo nome, anche se molto più spesso viene identificata come Colonna Infame.

Colonna Infame (o della Giustizia), BariLa colonna sorge in piazza Mercantile, proprio accanto al Palazzo del Sedile, ed è costituita da una colonna di marmo bianco sormontata da una sfera e da un leone di pietra accovacciato alla base, che al petto porta la scritta Custos Iusticiae, custode della giustizia. Secondo alcuni studiosi, la colonna risale a metà Cinquecento e fu fatta erigere per volontà di Pietro di Toledo, il viceré spagnolo, che emanò un decreto per rendere meno dura la pena della berlina. La colonna rappresentava quindi una sorta di gogna cittadina, ma evidentemente molto meno dura: i condannati venivano fatti sedere a cavallo del leone col sedere all’aria e le mani legate alle colonna.

E se un tempo era la colonna a “punire” le persone, adesso le sorti sembrano essersi invertite ed è diventata il bersaglio prediletto dai vandali, tanto che nel febbraio 2013 si è formata una crepa alla base. Gli abitanti della zona raccontano che ogni sera gruppi di ragazzini prendono a calci la colonna, salgono sul leone, imbrattano il monumento con scritte. Nei piani dell’Amministrazione cittadina, in collaborazione con i commercianti del centro storico,  c’è la realizzazione di un’aiuola recintata per proteggere la colonna, ma per ora è tutto fermo.

 

 
2 commenti su “La Colonna Infame a Bari, la “gogna” cittadina”
    • Ciao Alina,
      come scrivo nel post, “i condannati venivano fatti sedere a cavallo del leone col sedere all’aria e le mani legate alle colonna”. Più di così purtroppo non so.

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